TELE – DISGRAZIA

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Ogni mattina, la prima cosa che faccio è accendere la televisione, per apprendere la disgrazia del giorno. I solerti giornalisti passano la notte a setacciare l’ANSA per buttare la penna su quelle più ghiotte. Le disgrazie sono il pane dei giornalisti, il companatico siamo noi. Niente disgrazie, niente ascoltatori. Fortunatamente noi popolo siamo avidi di notizie disastrose. Ci fa sentire nobili di cuore associarci a chi dentro le disgrazie ci è capitato, suo malgrado. Un attimo di raccoglimento, poi si passa allo sport. Come spartiacque c’è la pubblicità a frenare le lacrime. Sì, le disgrazie alzano gli ascolti e favoriscono la pubblicità.

Le disgrazie e il loro seguito di notizie seguono le stagioni: i disastri naturali vengono buoni soprattutto d’inverno, che il dramma si fa più pesante. Gli attentati di domenica, così hanno più audience. Siamo tutti attenti ai telegiornali la mattina, sapendo che per tutta la giornata i talk show poi ci torneranno a ricamare su. Un mondo intero di gente che ci vive, ne parla, si raccoglie in contrizione e ci fa la sua bella figura.

E se non ci sono disgrazie? C’è sempre un rimedio: Roma, con la Raggi da mettere in croce; gli Usa, alle prese con le manovre di Trump; l’Europa, a rischio disintegrazione. Sono disgrazie di scorta, di seconda linea, da riscaldare col microonde di qualche intervista.

Le disgrazie danno anche un’occasione ai fedeli di ringraziare Dio per quegli undici che si sono salvati, alla faccia dei ventinove che sono morti… e qui cambio discorso, perché l’inferno non fa per me.

Gianni Monduzzi

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