Note storiche

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La prima volta che lo sentii nominare avevo solo quindici anni, era menzionato nientemeno che da Giacomo Casanova nella Storia della mia Vita, l’opera monumentale in 23 volumi, edizioni “Il Corbaccio” che mi leggevo di nascosto in classe, al liceo, tenendolo sulle ginocchia, coperto dal banco. Ne prendevo in prestito, tre volumi alla volta, alla Biblioteca dell’Archiginnasio e mi aveva affascinato a tal punto che non riuscivo a staccarmene nemmeno un giorno, anche se lo leggevo centellinandolo, per allontanare il triste pensiero di quel brutto giorno in cui sarei arrivato alla fine e mi sarei dovuto staccare dal mio beneamato. Quest’opera di Casanova è intrigante a tal punto che qualcuno le ha dedicato tutta la vita. C’è chi ha organizzato viaggi per mezza Europa lungo i percorsi compiuti da quel libertino, ci sono studiosi del Casanova che hanno letto almeno tre volte tutto quello che Casanova ha scritto, compreso gli epistolari e i taccuini ritrovati in Boemia nel castello di Doux. Io non sono arrivato a tanto, ma ho letteralmente vissuto nel settecento per un anno intero, in un’età pericolosa ad avere tali maestri. Ma non me ne pento, ne valeva la pena, se non altro per l’Aceto dei Sette Ladri…

Narra Giacomo Casanova, che la sera stessa della fuga dai Piombi si recò in un’osteria per gustarsi una frittata condita con quel fantastico aceto. Tutto qui. Non sarebbe venuta anche a voi la curiosità di saperne di più su questo condimento dal nome bizzarro? A me venne, ma mi arenai nella giovane età e nella mancanza a quei tempi di Internet. Pensai che fosse un nome astuto per indicare un aceto così forte, così canaglia, da venir prodotto solo con uve rubate ai legittimi proprietari. Tanto mi bastò, salvo cercare dove potevo se c’era la formula per riprodurlo personalmente. Alla biblioteca dell’Archiginnasio, sotto la voce “Aceto dei sette Ladri” non c’era un bel nulla. Fine delle mie fonti e conclusione delle ricerche. Per le mie frittate dovetti accontentarmi di aceti balsamici.

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