Categoria: Romanzo totale

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La realizzazione equivale all’idea per il quadrato della fatica.

 

No, questa volta devo scrivere un romanzo intero, di almeno 300 pagine. Non posso sem­pre fermarmi alle prime dieci pagine. Devo continuare a scrivere an­che quando non avrò più nulla da dire. Nei momenti di vuoto assolu­to penserò a quale editore potrebbe pubblicarmelo, uno che mi sia antipatico e che ci rimetta. Oppure farò dei risparmi e contribuirò alle spese: un editore così dovrei trovarmelo.

Amici miei dicono che, per avere successo con un romanzo, basta metterci quegli ingredienti che il pubblico vuole trovarci: un po’ di sesso anticonvenzionale e di frontiera; rischio e avventura in misura da rendere apprezzabile da parte del Nostro il fatto di essere in una comoda poltrona; tutti quei sogni che rendono la vita piena e desi­derabile: ville sontuose senza affitto da pagare, jet-set gratis, panfili senza noleggio.

Non dovranno mancare luoghi umoristici e situazioni paradossali, con le indicazioni per il lettore dei punti in cui dovrà sorridere, ridere e sghignazzare. Qualche riferimento politico che stuzzichi i risenti­menti e dia conferma a supposizioni sotterranee a ogni coscienza. Paesaggi esotici (e qui ci dovrebbe scappare la sponsorizzazione di qualche agenzia di viaggi), scenari tropicali e cineserie assortite. Pic­cole annotazioni quotidiane e argute in cui ciascuno riconosca la pro­pria vivisezione in uno spaccato di vita di tutti i giorni e riscopra se stesso. Il tutto condito da una trama che faccia riferimento alle pas­sioni primordiali: amore- odio, fedeltà – infedeltà, vendetta – perdono.

Questo il risultato di una attenta indagine di mercato. Mi pare una ricetta per fare un dolce. Ma si potrà fare un romanzo con la tecno­logia del marketing? Vari Autori contemporanei lo confermano con i loro successi.

Le statistiche sono entrate nella letteratura: il best seller è nell’aria, già ideato nelle aspettative della gente; un Autore il romanzo non lo deve inventare, ma solo trascrivere: il successo è nel romanzo plebiscitario.

Scriversi il proprio romanzo è un atto di bricolage, è nell’ottica del “fai da te”. Vantaggiosissimo scavalcare editori, con le loro costosissime segretarie, librai e commesse imbellettate con le loro delicate toilette, e le vetrine rotte dagli ultrà, e l’IVA, e tante altre diavolerie: tutte cose cui deve accudire il lettore comprando un ro­manzo. Io il romanzo me lo scrivo e me lo leggo da solo: dal produttore direttamente al consumatore.

Però le pagine, andando avanti, si fanno sempre più difficili, le cose da dire sempre più già dette: insomma la fantasia ha bisogno di sussidi.

La bottiglia di vodka da 8 euro se ne va in un paio di giorni: una ogni dieci pagine, i costi salgono! Difficile valutare se da questa impresa uscirò pazzo o alcolizzato.

Fortunatamente nella scelta della penna sono stato oculato. Una penna a sfera ha tutti i prezzi della terra: una che scriva bene costa un euro, una da 10 euro scrive già maluccio, da cento malissimo, oltre questa cifra non scrive proprio più. I nobili involucri di Valentino, Dior, Gucci e altri affermati stilisti pare che influi­scano negativamente sul refill da 50 cent che ci sta dentro, por­tandolo ad un punto tale di snobismo da rifiutare l’umile lavoro per cui è nato.

Una biro scrive moltissimo: più di mille pagine, dicono, ma non tutte con lo stesso proprietario. Io non sono mai riuscito a scaricare completamente il refill di una biro; dopo qualche tempo l’ho dovuta buttare ancora mezza carica: con me non scriveva più. Sono certo che qual­cuno l’avrà raccolta e ci avrà scritto un paio d’anni, il che dimostra le analogie tra una biro e la tua ragazza: arrivi a un punto che con te a letto sembra spenta, ma con i tuoi migliori amici ritrova la vocazione.

Data la mia inclinazione a scrivere in ufficio tra una contabilità e l’altra, logico che facessi due conti sui costi dell’operazione. Questo è dovuto alla deformazione professionale di chi svolge lavori ottusi per sopravvivere dando così ad altri il supporto per ammantarsi di gloria e portarsi a letto belle ragazze.

Dicevo che dai miei conti risulta quanto segue:

30 bottiglie di vodka: € 240

2 penne biro: € 3

2 risme di carta: € 7

Totale € 250

 

Dividendo questa cifra per le 1.000 ore da me previste per scrivere un intero romanzo di 300 pagine si ha il costo/orario : 25 cent. Molto meno di quello che costa leggere un romanzo fatto da altri, il che forse spiega la proliferazione di romanzieri e lo scarso numero di lettori.

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La gallina è una femmina a due zampe, ali e penne.

La gallina spennata è una varietà di gallina senza penne, in vendita nelle macellerie.

La gallina di allevamento è un oggetto di plastica, a forma di gal­lina, spesso surgelato.

La gallina fa uova grosse che si friggono. Bere uova di gallina non è reato.

Un uovo fritto, per una gallina, è considerata interruzione della maternità; viene punito con una ammenda di cinquanta centesimi.

La vita di una gallina è una variabile dipendente dall’appetito del contadino.

La gallina è dotata di un manico, chiamato collo, predisposto per favorirne l’eutanasia.

La gallina non è considerata un animale molto sexy, essendo dota­ta di posteriore con una sola natica.

Un tempo le penne di gallina servivano agli scrittori per scrivere; oggi le galline scrivono in proprio.

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(Fa sorridere rileggere venticinque anni dopo questo capitolo…)

Il play boy è un individuo dalla vita intensa: piuttosto che stare due ore con una donna, preferisce stare un’ora con due donne.

Il play boy non deve essere necessariamente bello, ma di solito è biondo con occhio azzurro; può anche essere moro con occhio te­nebroso. Esiste anche una varietà di play boy brutto; quest’ultimo ha la caratteristica di non combinare un bel nulla con le ragazze.

Come riconoscere un play boy. Tu credi di essere affascinante, hai due lauree e tenti una conversazione pirandelliana con una bella ragazza a cui mandi fiori tropicali da mesi; arriva uno mai visto e fa: “Ciao bella penna, vien ben qui che ci porto a veder la luna!” Se la donna lo segue, quello è un play boy.

Il play boy infatti, in una frase banale e apparentemente idiota, insinua significati esoterici, incomprensibili per un uomo comune; ma le donne afferrano il messaggio e rimangono folgorate.

Di fronte ad un play boy invano le donne cercano di dissimulare la loro eccitazione, con frasi tipo: “quello lì, ma va, non ci penso nemmeno”; ma se hai l’occhio esperto, noterai che si slacciano un bottone della camicetta e si infilano distrattamente il gelato in un orecchio.

Bada che il play boy non è affatto stupido. Di solito è anche colto e ha fatto le magistrali. Si finge superficiale e analfabeta perché è astutissimo e sa che l’intelligenza è antipatica e che gli intellettuali non hanno successo con le donne.

Tu magari ti credi un furbacchione perché, pubblicando la tua denuncia dei redditi, hai vinto un premio di letteratura umoristica; hai magari ricavato una fabbrica di succhi di frutta spremendo un deposito di rifiuti; forse hai anche strappato alla Cia i piani segreti per la conquista di San Giovanni in Persiceto.

Non sai che il play boy ha fatto ben altro, anche se non ama mettersi in mostra e odia farsi bello con titoli accademici. Difficilmente sentirai ammettere da un vero play boy di avere vinto il premio Nobel.

Le donne del play boy hanno pantaloni leggermente attillati: è difficile capire se siano nude o vestite; sembra infatti che abbiano la cerniera lampo cucita sulla pancia. Hanno inoltre gli occhi allucinati: il play boy è una droga biologica così pericolosa, che è scabroso persino parlare della sua via di somministrazione.

Non prendetela se una ragazza di queste ti guarda con una punta di disprezzo. Non può perdonarti la tua inferiorità nel farti il nodo alla cravatta.

I play boy infatti sono una setta segreta e si tramandano il metodo di annodare la cravatta solo fra gli adepti. E non cercar di copiare il nodo, perché è un nodo in codice che cambia improvvisamente, secondo una rigorosa programmazione, che i play boy chiamano familiarmente “ultima moda”.

Il play boy è molto osservante e, una volta o due all’anno, va in pellegrinaggio a Saint Tropez e alla succursale di Riccione.

Spesso è senza occupazione; non se la sente, nell’attuale crisi economica, di portar via un posto di lavoro a un padre di famiglia.

TEMPI ORMAI LONTANI…

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