Come nasce un libro

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Invidio le parole.
Perché vivono nei libri.

Quando stai per concepire un libro è una strana sensazione. In realtà, quello che senti dentro non è un libro: è bisogno di chiarezza. Scrivere non è altro che un continuo liberarti di pensieri conformisti alla ricerca di una progressiva verità. Certe volte pare che il cervello s’ingarbugli e, senza l’aiuto del computer, non sia più capace di mettere in ordine le idee.
Che dapprima butti giù, scompostamente, come ce le avevi in testa. Poi lasci che prendano una logica sul video. Senti di viverla, la vita, mentre la descrivi. Non è vita teorica, esercitazione letteraria: è un passaggio obbligato verso la chiarezza. Le logiche, i ragionamenti generali arrivano alla fine. Te li trovi scritti e ti meravigli. Tu che sei il primo lettore di te stesso.
Poi c’è un momento, quando l’opera svela la sua trama… come una ragazza che si sfila la gonna. E le azioni diventano veloci, le mani prendono la febbre. Ogni parola cade a posto, come le tue dita sui suoi fianchi. Ti senti trascinare in una frenesia senza confini, che rischia di non mandarti più a dormire. Notti bianche, intense, d’amore col mistero.
Finito il libro, hai finalmente tutto chiaro: questo è lo stampo in cui sono colati i tuoi pensieri. Come la matrice di una statua in bronzo. Ma l’opera d’arte non sono le parole: è lo scrittore che se n’è volato via.
Il libro ormai è solamente una tessera di storia. E non risulta mai come lo pensavi. E’ un figlio ribelle, sfuggito di controllo. Per fortuna! E’ così che conquista un suo carattere.
Ed è vivo, come il tuo presente, anche se pare in sonno. Ma basta che un lettore lo sfogli, che lui si desta e ti sopravvive.

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